La nascita di un figlio costituisce un evento tanto affascinante quanto sconvolgente. L’esperienza di avere un figlio è di per sé un elemento che altera gli equilibri presenti in una coppia e più in generale, in una famiglia. In era moderna, la procreazione ha mutato il suo significato, non rappresentando più il semplice compimento di un destino biologico. La decisione di mettere al mondo un figlio è spesso il risultato di una scelta, maturata in un contesto variabile di condivisione, e di un desiderio di autorealizzazione di entrambi i componenti della coppia. I nove mesi di gestazione sono un periodo sufficientemente lungo per sviluppare aspettative e desideri. Durante questa transizione nascono interrogativi sia di natura più immediata, come la somiglianza estetica e caratteriale specifica ad una figura genitoriale, che di natura funzionale-educativa, come ad esempio le curiosità legate all’inserimento futuro, in campo sociale e lavorativo del nascituro. Tuttavia, tali elaborazioni preventive possono risultare disattese, nel momento in cui i medici comunicano una diagnosi di disabilità. Qualsiasi tipo di diagnosi che evidenzi a carico di un figlio una patologia cronica, è per i genitori e per tutta la famiglia un’esperienza carica di dolore e sofferenza. Nessuno è preparato alla nascita di un figlio disabile e quando ciò si verifica può accadere che, dopo un’iniziale fase di shock e di incredulità, si passi ad una fase in cui emergono vissuti di rabbia, vergogna, ansia, spesso mescolati a senso di inadeguatezza e di colpa. Talora anche la relazione di coppia e le relazioni familiari vengono messe a dura prova e si può anche assistere allo scioglimento dei legami familiari. Si tratta di una fase molto delicata, che rende i genitori molto vulnerabili poiché l’impatto con la disabilità comporta la messa in discussione dei processi identitari con importanti ripercussioni nella sfera relazionale, sociale e lavorativa.
Un aspetto centrale che contraddistingue il rapporto tra i genitori e il figlio disabile, deriva spesso dall’impreparazione su tutto ciò che riguarda l’avvenire. Un evento critico come la nascita di un figlio con disabilità richiede necessariamente la riorganizzazione del proprio percorso di vita familiare e sociale. I genitori devono improvvisamente autoeducarsi a una nuova mentalità, mutare le proprie aspettative, e maturare una nuova sensibilità per prepararsi ad accettare il figlio, e successivamente pensare alla sua educazione. Cambiare le proprie attese è certamente difficile per un genitore educato a sua volta ad un determinato modello culturale. In una società improntata sulla produttività, sulla competizione e sull’individualismo un figlio disabile troverà grosse difficoltà di inserimento e poco spazio per esprimersi al meglio, per autodeterminarsi. Essere buoni genitori è un compito già di per sé difficile; essere genitori di un bambino con disabilità richiede ancora più impegno e dedizione. È pertanto necessario che i genitori possiedano tutte quelle capacità e conoscenze che permettano loro di capire il bambino, di rendersi conto dei suoi bisogni e di immaginarsi il futuro senza troppe ansie e incertezze. La notizia della diagnosi può provocare nei genitori un forte trauma, legato alla discrepanza tra il bambino “ideale” che hanno costruito mentalmente durante l’attesa e il bambino “imperfetto” che la realtà presenta loro. L’efficienza e l’impegno nel cercare specialisti o soluzioni “miracolose”, se da un lato sottolineano il sopravvivere della speranza di poter curare la patologia, dall’altra offrono anche una possibilità di sfogo alle tensioni interne e danno al genitore l’illusione di poter sfuggire di fronte al deficit irreversibile. La diagnosi certa, dopo un’inevitabile periodo di scoraggiamento, mette la coppia in grado di resettarsi, nella condizione di trovare un nuovo equilibrio. La presenza di una rete di specialisti che faccia fronte alla richiesta di diagnosi certe, che fornisca un supporto nel difficile percorso di cura, permette il superamento dello shock iniziale. Qualora i genitori presentino difficoltà nell’accettazione della realtà, come spesso accade, occorre aiutarli a costruirsi un’immagine quanto più possibile concreta del proprio bambino, dei limiti che la disabilità comporta ma soprattutto delle sue potenzialità. Occorre quindi guidare i genitori nella co-costruzione del progetto di vita del bambino, in cui essi dovranno sentirsi protagonisti. I “vincoli” dettati dalla disabilità del bambino non rappresentano necessariamente anche un limite per l’evoluzione positiva della famiglia. Infatti, accade spesso che i genitori di questi bambini, soprattutto se aiutati precocemente con interventi educativi appropriati, sono capaci di implementare le loro risorse al fine di riorganizzarsi e adattarsi alla nuova realtà, diventando essi stessi il punto di riferimento su cui poggiare la rete degli interventi educativi e specialistici. Come afferma Carlo Lepri, esiste un rapporto diretto tra l’immagine che abbiamo dell’altro e la costruzione della sua identità. Di conseguenza, se i genitori desiderano realmente che il loro figlio diventi un adolescente e poi un adulto ben inserito nel tessuto sociale, essi devono tenere bene a mente che uno dei fattori più incisivi riguarda il loro atteggiamento verso il deficit, in quanto lo dovranno educare a non odiarlo, ma al contrario ad interiorizzare una buona immagine di sé, reale e non distorta dalla disabilità.